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Marsili e Vavilov, i giganti del Mediterraneo: rappresentano un pericolo?
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Marsili e Vavilov, i giganti del Mediterraneo: rappresentano un pericolo?

I due giganti vulcani più grandi d’Europa e del Mediterraneo sono localizzati al centro tra la Sicilia e la Campania, sono tornati alla ribalta delle notizie web di questi giorni proprio per la loro attività vulcanica che in realtà non ha mai smesso di essere attiva.

Alternano fasi di irrequietezza a fasi di maggiore stabilità ed equilibrio geodinamico ma posseggono un potenziale eruttivo piuttosto elevato; le loro dimensioni infatti si estendono per oltre 2300 km quadrati, 70 km di lunghezza per 30 km di larghezza e si sviluppano per un altezza dal fondale marino per circa 3000 mt. rimanendo a 500 mt sotto il livello medio del mare.


La scoperta di questo edificio vulcanico è avvenuta soltanto recentemente durante una campagna scientifica, e nel 2001 e nel 2006 diverse campagne scientifiche condotte dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia hanno permesso di acquisire dati scientifici più accurati sui due vulcani, ne sta approfondendo gli studi e le interpretazioni e sta studiando il loro equilibrio geodinamico per capire il potenziale rischio in caso di eruzione.

Gli studi fin qui condotti hanno permesso di studiarne la sua struttura; si tratta di uno strato vulcano e cioè costruito alternando fasi effusive caratterizzate da colate laviche relativamente tranquille a fasi intensamente esplosive che hanno provocato la ricaduta di ceneri e pomice.

Potrebbe trattarsi, dunque, di fenomeni mai visti e studiati fin ora visto che i dati più recenti di un eruzione di questi vulcani risalgono tra i 7000 e i 2000 anni fa.


La ricostruzione di un’esplosione al simulatore ha evidenziato il possibile collasso di parte dell’edificio vulcano stesso generando uno tsunami le cui onde alte 25-35 metri colpirebbero le isole Eolie nel giro di qualche minuto e poi anche le coste della Sicilia e della Calabria con onde alte 20 metri provocando devastazione e morte. È successo ad esempio con il vulcano Krakatoa nel dicembre del 2018 e lo stesso fenomeno, ma ben più distruttivo avvenne con il megatsunami della baia di Lituya nel 1958.

Uno scenario apocalittico che è difficile da immaginare e prevedere ma alquanto improbabile dai dati che attualmente sono disponibili.   

Infatti, questo vulcano è formato da una serie di coni e fratture eruttive allineate in direzione quasi Nord-Sud e presenta un’attività idrotermale e sismica legata a eventi di fratturazione superficiale e a degassamento. Inoltre, siamo a conoscenza che esiste una zona centrale meno spessa interessata da fratture e circolazione di fluidi idrotermali.

In caso di eruzione sottomarina a profondità di 500-1000 metri sul Marsili l’unico segno in superficie sarebbe l’acqua che bolle legata al degassamento e galleggiamento di materiale vulcanico (pomici) che rimarrebbe in sospensione per alcune settimane.

Il rischio vulcanico associato a eruzioni sottomarine di questo tipo è estremamente basso, e un’eruzione a profondità maggiore di 500 metri comporterebbe probabilmente soltanto una deviazione temporanea delle rotte navali proprio perché la colonna d’acqua dissiperebbe gran parte dell’energia sprigionata.

Anche il rischio legato a possibili tsunami correlati a eruzioni come quelle più recenti è minimo. Pur tuttavia, l’evenienza che settori del vulcano possano destabilizzarsi e franare in caso di deformazioni indotte dalla risalita di significative quantità di magma, non può essere esclusa.

 Inoltre, il vulcano è stabilizzato meccanicamente da una serie di fratture riempite da magma ormai raffreddato che fungono da contrafforti. Sui fianchi del vulcano si notano inoltre franamenti localizzati legati alla instabilità degli ammassi che però non producono tsunami.

 

Articolo di: Alfredo Geraci

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